Marotta Editori

Enigmatico e provocatorio, iconico con il suo inseparabile cappello di feltro, Joseph Beuys è una figura carismatica dell’arte del Dopoguerra. Scomparso prematuramente nel 1986, ha lasciato un’eredità ineludibile per chiunque si confronti con le arti contemporanee.

Jospeh Beuys nasce nel 1921 in Germania ed i suoi anni di formazione non lasciano presagire una carriera artistica: studia medicina, entra nella nella Gioventù Hitleriana e si arruola volontario nella Luftwaffe allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

Proprio una missione di guerra segna la brusca virata della sua esistenza: nel 1943 il suo aereo viene abbattuto in Crimea e Beuys sarebbe sicuramente morto se un gruppo di  nomadi tartari non lo avesse trovato, quasi congelato,  e non avessero deciso di curarlo, di spalmare il suo corpo di grasso animale e di avvolgerlo nel feltro per ridargli calore.
Questa esperienza traumatica è il punto di partenza per la sua nuova vita e per la sua arte. Fatto prigioniero dagli Inglesi nel 1944, viene liberato solo alla fine del conflitto. Si iscrive quindi all’Accademia di scultura di Düsseldorf, dove si diploma e nel 1961 ottiene la cattedra di scultura monumentale.  Negli stessi anni insieme a George Maciunas, Nam June Paik, Wolf Vostell e Charlotte Moormann partecipa a Copenaghen, Londra e Wiesbaden ai primi eventi del gruppo Fluxus, organizzando in prima persona il Festum Fluxorum Fluxus nell’Accademia in cui insegna.

Fluxus 1964
Una manifestazione di Fluxus (Concert for submarine sandwiches) nella Kurhaus Scheveningen (Paesi Bassi), 13 Nov. 1964. Foto: Hugo van Gelderen (ANEFO) – Fonte: GaHetNa (Nationaal Archief NL)

Sono anni in cui la sua produzione artistica è concentrata sulla creazione di sculture e installazioni tese a sollecitare una coscienza critica nel pubblico. Come Infiltrazione omogenea per pianoforte a coda del 1966, in cui lo strumento musicale, che simboleggia la cultura europea, è avvolto in uno strato di feltro per indicare sia l’impossibilità di riprodurre suoni, ovvero la crisi del linguaggio e della cultura, sia la funzione salvifica del materiale (evidenziata anche dalla croce apposta sul fianco dell’oggetto) che  che può trasformare quel silenzio nel raccoglimento interiore che permette di tendere all’assoluto (nel video che segue, una carrellata delle opere di Beuys).

Nel 1964 inaugura il filone delle “azioni“, che sono una parte fondamentale della sua poetica e, insieme alla sua adesione all’antroposofia di Rudolf Steiner, allo studio della filosofia di Goethe, Schiller, Novalis, degli scritti di Leonardo da Vinci e dei testi dei Rosacroce, rappresentano le basi della sua visione dell’arte come pedagogia che deve ricostituire la globalità dell’esperienza umana, della perpetua ricerca di un’armonia tra uomo e natura e della sua figura di “Sciamano dell’arte”.

L’impegno politico

Sul fronte dell’attivismo, l’artista non si è mai risparmiato. Nel corso degli anni è stato fondatore o co-fondatore del Partito degli Studenti Tedeschi (1967), dell’Organizzazione per la Democrazia Diretta Attraverso il Referendum (1971), della Libera Università Internazionale per la Creatività e la Ricerca interdisciplinare (1974, insieme a Heinrich Böll, dopo essere stato licenziato dall’Accademia di Düsseldorf per aver organizzato una protesta contro il numero chiuso) ed infine del Partito dei Verdi.

Pacifista, ecologista e fortemente  contrario alle armi nucleari, Beuys affronta esplicitamente le tematiche a lui care  in alcuni celebri lavori, come la canzone e il video musicale Sonne statt Reagan! (Sole invece di Reagan, 1982) in cui si oppone direttamente alla politica militare del presidente americano.

Beuys e l’Italia

Il Belpaese ha rappresentato per Beuys una terra di elezione. Amico ed estimatore di Andy Warhol, ha fatto parte insieme a lui del gruppo di artisti della Modern Art Agency di Lucio Amelio che ha portato a Napoli negli anni ’70 il meglio dell’arte contemporanea internazionale.

Proprio a Napoli Beuys tiene la sua prima personale italiana, in cui nasce la celebre immagine La rivoluzione siamo noi. Inoltre l’artista è tra i primi a rispondere all’appello di Amelio che, nel 1981, chiama a raccolta gli artisti a lui vicini per realizzare un’opera che avesse per tema il terremoto, dopo quello che aveva devastato la Campania l’anno precedente. Nasce così Terremoto in Palazzo, un’istallazione composta da vecchi tavoli da lavoro trovati nelle zone terremotate, cui Beyus aggiunge elementi di vetro e ceramica come simbolo della fragilità e dell’equilibrio precario.

Beuys Terremoto di Palazzo
Terremoto di Palazzo, 1981 – Reggia di Caserta. Fonte: Wikipedia

Beuys ha il suo studio preferito a Bolognano, piccolo paese dell’Abruzzo in cui viene invitato dal barone Durini e da sua moglie Lucrezia De Domizio, ed in cui trascorre gli ltimi 15 anni della sua vita. Nel 1984 gli viene data la cittadinanza onoraria e nel corso degli anni realizza nella cittadina diverse attività come la Fondazione dell’Istituto per la Rinascita dell’Agricoltura (1976), la creazione della Piantagione Paradise con la messa a dimora di 7000 piante per il ripristino della biodiversità (1982) e l’opera Olivestone (1984) composta da cinque vasche d’arenaria usate fin dal 1500 per la decantazione dell’olio d’oliva, riempite ciascuna con un parallelepipedo di pietra calcarea che lascia liberi pochi millimetri lungo il perimetro, in modo da accogliere l’olio e permettergli di colare all’interno e formare un sottile strato di copertura in superficie.

Nel 1980 tiene un  incontro-confronto con Alberto Burri alla Rocca Paolina di Perugia. Le opere realizzate da Beuys per l’occasione (una serie di lavagne) sono nella collezione permanente del Palazzo della Penna di Perugia, mentre la scultura nera di Burri è ancora esposta alla Rocca Paolina.

Il suo ultimo lavoro viene allestito nel dicembre del 1985 al museo di Capodimonte a Napoli, si intitola Palazzo regale e può essere considerata il suo testamento spirituale. È composta da sette grandi lastre rettangolari in ottone ricoperte di lamina d’oro, appese alle pareti,  e da due vetrine che custodiscono residui di azioni, ricordi, indumenti e oggetti personali. Secondo l’artista: “Il palazzo che noi abbiamo prima conquistato e poi reso degno di abitare è la testa dell’uomo, la nostra testa“.
Muore l’anno successivo, il 23 gennaio 1986 a Düsseldorf, a seguito di un attacco cardiaco.

Le azioni

Il 1965 è l’anno della prima mostra personale di Beuys che, in una galleria di Düsseldorf, mette in scena una delle sue performance più celebri:  Come spiegare i quadri ad una lepre morta. Con la testa cosparsa di miele e lamine d’oro,  l’artista tiene in braccio una lepre morta, le mostra i suoi dipinti appesi alle pareti e apparentemente glieli descrive, sussurrandole nelle orecchie, facendoglieli toccare  con le zampe. La sua performance è visibile solo attraverso la porta e la finestra della galleria, perché l’artista si è fisicamente chiuso nello spazio espositivo.
La simbologia dell’azione è molto complessa, ed attiene alla difficoltà di comunicare l’arte, attingendo a elementi diversi (nel video che segue, alcuni momenti della performance).

Il senso generale è che non è possibile spiegare l’arte ad una lepre morta, ma paradossalmente persino lei possiede delle capacità intuitive maggiori di alcuni esseri umani con la loro ottusa razionalità. Quindi per Beuys immaginazione, ispirazione e desiderio sono strumenti conoscitivi e di comprensione del mondo.

Un’altra celebre performance si intitola I Like America and America Likes me ed ha luogo nel 1974 alla la René Block Gallery di New York. Beuys sbarca negli Stati Uniti dal suo aereo, ma dato che è contrario alla guerra in Vietnam si rifiuta di toccare il suolo e si fa trasportare in ambulanza, avvolto in una coperta di feltro, fino alla galleria. Qui, per tre giorni, condivide una sala appositamente recintata con un coyote (nel video che segue, alcuni momenti della performance).
L’interazione tra l’uomo e l’animale è punteggiata da azioni quotidiane e rituali. Beuys, avvolto nella coperta di feltro e con in mano un bastone, fa tintinnare un triangolo, fa riprodurre in un’area esterna il rumore di una turbina, a volte guarda il coyote (che lo osserva con circospezione) o gli tira i suoi guanti.

L’animale, dal canto suo, acquista sempre maggiore familiarità con l’individuo, lo annusa, interagisce con lui ed alla fine dei tre giorni Beuys riesce addirittura ad abbracciarlo prima di partire, di nuovo avvolto nel feltro ed a bordo di un’ambulanza, alla volta dell’aeroporto. Questa modalità di trasporto, spiega in seguito l’artista, è dovuta al fatto che: Volevo isolarmi, isolarmi, non vedere nulla dell’America oltre al coyote“.

La natura

Nel 1982 viene invitato alla settima edizione di  documenta, a Kassel dove prepara l’opera 7000 querce. Non si tratta di una scultura tradizionale, ma di un progetto a lunghissimo termine composto da un grande triangolo di 7000 pietre di basalto posto davanti al Museo Federiciano della cittadina tedesca. Il ricavato della vendita di ogni pietra è servito ad acquistare una quercia che è stata piantata a Kassel.

Beuys Kassel
L’installazione delle pietre di basalto davanti al museo. Font: Wikipedia

Ci sono voluti anni per portare a termine l’azione (che si è uficialmente conclusa solo nel 1987), ed il progetto è stato osteggiato prima dal partito conservatore dei Cristiano-democratici, poi dal pubblico che, ritenendo brutte le pietre di basalto vi ha sovrapposto dei sassi colorati di rosa, e persino dalla fatalità, dato che un motociclista è morto a causa di uno dei blocchi.
In ogni caso, l’intervento artistico ed ecologico nasce con l’obiettivo dichiarato di alterare durevolmente lo spazio vitale della città e, nonostante tutti i problemi riscontrati, ha acquisito sempre maggior valore per la cittadinanza (che ha potuto apprezzare nel tempo un’area verde sottratta alla cementificazione) ed è diventato una parte importante del paesaggio urbano di Kassel.

La crescita del bosco di querce immaginato da Beuys richiederà circa 300 anni per realizzarsi, ma l’artista ha il merito di aver evocato, attraverso il rito collettivo del piantare tanti alberi, il significato più profondo del rapporto fra l’uomo e la natura.
Per Bolaffi ha realizzato la copertina L’Udito, edita nella serie di multipli d’arte dedicata a I sensi.

L’immagine in evidenza è di Ronald Feldman Fine Arts, fonte: Wikipedia

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