Mario Merz: l’impegno, la luce e..l’igloo

L’opera di Mario Merz ha attraversato tutto il Novecento. Esponente dell’Arte Povera, nella sua ricerca si distinguono alcuni elementi costanti: dalla luce al neon agli igloo, dalla serie di Fibonacci ai mucchi di giornali. Senza mai trascurare l’impegno civile.

Mario Merz nasce a Milano nel 1925 da una famiglia di origine svizzera. Cresce a Torino, dove frequenta la Facoltà di Medicina. Durante la guerra abbandona gli studi e si unisce al movimento antifascista Giustizia e Libertà.
Arrestato nel 1945, trascorre un anno alle Carceri Nuove. In questo periodo realizza disegni sperimentando un tratto grafico continuo, ovvero senza mai staccare la punta della matita dalla carta.

Dopo la Liberazione decide di dedicarsi a tempo pieno alla pittura, maturando uno stile astratto-espressionista, che ben presto lo conduce verso l’Informale. La sua prima personale è del 1954, presso la galleria La Bussola di Torino.

A metà degli anni Sessanta comincia ad allontanarsi dalla pittura per sperimentare materiali differenti, come tubi al neon, ferro, cera e pietra, con cui realizza i primi assemblaggi tridimensionali, ovvero le pitture volumetriche.

Negli stessi anni partecipa alle mostre dell’Arte Povera insieme a Michelangelo Pistoletto, Giuseppe Penone, Luciano Fabro e altri, diventando un punto di riferimento del gruppo.

Il vento di rinnovamento del ’68 lo coinvolge presto: Merz comincia a riprodurre gli slogan di protesta del movimento studentesco con i neon.

In questi anni la sua ricerca si rivolge anche verso strutture archetipiche come gli igloo, creati con materiali diversi. Dal 1970 in poi utilizza la successione di Fibonacci, realizzata con i neon come simbolo dell’energia insita nella materia e della crescita organica.

Accanto ad essa, compare il “tavolo“.  Dalla metà del decennio esso diventa parte di installazioni complesse in cui spiccano frutta e ortaggi che, abbandonati al loro decorso naturale, introducono nelle opere la dimensione del tempo reale.

Mario Merz - Melpomene

Mario Merz e il ritorno alla pittura

Tra la seconda metà degli anni Settanta e gli Ottanta l’artista è di nuovo impegnato sul fronte della pittura: sulle sue tele di grandi dimensioni compaiono animali arcaici come coccodrilli, rinoceronti e iguane.

Tuttavia, non abbandona mai gli elementi tridimensionali: ad igloo, fascine, numeri al neon, tavoli e ortaggi si aggiungono pacchi di giornali. Tra le più prestigiose rassegne a cui ha partecipato figurano: la Biennale di Venezia (1976, 1978, 1986 e 1997) e documenta IX Kassel (1992).

 

Nel 2005, a Torino nasce la Fondazione Merz, che si occupa di uno spazio espositivo di 1400 metri quadri, dell’omonimo archivio, composto da 1000 volumi e di una biblioteca specializzata  con 4000 pubblicazioni).

Per Bolaffi ha realizzato Melpomene, edita nella serie di multipli d’arte dedicata a Le Nove Muse.

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